Il libro di loto

Parla solo di amicizia questo libro? Non proprio.

Recensione

Il Libro di loto è il primo racconto pubblicato da Francesca Panarotto edito da Giovannelli Edizioni, giovane realtà editoriale bolognese che ha tra le sue collane anche una linea per ragazzi.

Amaranta è una bambina di 10 anni con una mamma, un papà, un cane adottivo e dei pensieri molto profondi. Amaranta ha anche un albero, anche se in realtà è un albero appartenuto a tutta la sua famiglia.La vita di questa ragazzina viene scombussolata, ad un certo punto, da un incontro particolare: quello con Islam, la figlia Marocchina dei nuovi vicini. Inizia così la storia di un’amicizia difficile ma bellissima, piena di speranza e sincerità, di parole liberatorie e silenzi, nonostante le opinioni superficiali di grandi e piccoli protagonisti.

Parla solo di amicizia questo libro? Non proprio.

Questo libro parla dei pregiudizi della nostra epoca, parla anche un po' delle nevrosi e delle manie di un certo tipo di genitori moderni, descrive, con un tono non banale e sincero la capacità che hanno solo i bambini di accogliere il “diverso”.

L’albero di loto che ispira il titolo è protagonista quasi come Amaranta ed Islam, anche se occorre aspettare il finale per coglierne in pieno il ruolo in questa storia, l’albero scandisce la crescita della protagonista ed accoglie sotto la sua chioma anche tutte le persone che entrano nella sua vita.

L’autrice in questa sua prima opera ci regala un racconto scritto con il cuore, cosa che traspare tra le righe, anche se , forse, in alcuni passaggi fa pronunciare parole e concetti un po' troppo alti per una bambina di 10 anni. Questo piccolo e trascurabile difetto, in alcuni passaggi, fa pensare al fatto che il libro sia stato scritto da una persona adulta e si perde il punto di vista della piccola protagonista.

Ciò non inficia sulla godibilità di questa lettura, assolutamente consigliabile per ragazzi in età scolare ed anche per i genitori, per cercare così, tra i pensieri di Amaranta la chiave per capire un poco meglio i propri figli.

Simone Ruscino